DONA E RICEVI

CONTRAPPOSIZIONI MODULO, SEDUTE DI ALLENAMENTO, MICROCICLO SETTIMANALE, PREPARAZIONE FISICA. IL CALCIO A 360° SU MISURA. MATERIALE PER QUALSIASI CATEGORIA. CHIEDI E RICEVI. PER PRENOTAZIONI SCRIVI A VOGLIACALCIO@GMAIL.COM

martedì 31 luglio 2012

INZAGHI ALLENERA' GLI ALLIEVI NAZIONALI DEL MILAN

Filippo Inzaghi appende le scarpe al chiodo e comincia la sua avventura da allenatore, non lo fa in una società di provincia con una squadra di Piccoli Amici, ma viene collocato da Galliani negli Allievi Nazionali del Milan.
Non metto in discussione le sue doti da calciatore, ma da allenatore avrebbe dovuto fare dei passaggi obbligati partendo dai piccoli. Bene, in queste situazioni e da allenatore di calcio provo un forte risentimento.
Ma non è il primo caso di calciatori famosi che appendono le scarpe al chiodo e cominciano ad allenare in squadre di una certa importanza scavalcando tutto l'iter che un allenatore dovrebbe fare.
Ormai nel settore giovanile delle società professionistiche si vedono solo ex calciatori di un certo livello, come se il mondo del calcio che conta fosse a numero chiuso, poi ci siamo NOI, allenatori con ambizioni, stimoli, passioni, voglia di emergere, bravi e preparati, ma costretti a rimanere nell'anonimato perchè le panchine che contano sono già tutte assegnate. E' questo il calcio che non digerisco, dove chi fa parte del giro giusto va avanti, chi è un comune mortale rimane nei campi di periferia ed è costretto a dire che allena per hobby. Hobby un corno, io vorrei arrivare in Serie A, e insieme a me tanti altri.

Rosario Ligato

INZAGHI ALLENERA' GLI ALLIEVI NAZIONALI DEL MILAN

Filippo Inzaghi appende le scarpe al chiodo e comincia la sua avventura da allenatore, non lo fa in una società di provincia con una squadra di Piccoli Amici, ma viene collocato da Galliani negli Allievi Nazionali del Milan.
Non metto in discussione le sue doti da calciatore, ma da allenatore avrebbe dovuto fare dei passaggi obbligati partendo dai piccoli. Bene, in queste situazioni e da allenatore di calcio provo un forte risentimento.
Ma non è il primo caso di calciatori famosi che appendono le scarpe al chiodo e cominciano ad allenare in squadre di una certa importanza scavalcando tutto l'iter che un allenatore dovrebbe fare.
Ormai nel settore giovanile delle società professionistiche si vedono solo ex calciatori di un certo livello, come se il mondo del calcio che conta fosse a numero chiuso, poi ci siamo NOI, allenatori con ambizioni, stimoli, passioni, voglia di emergere, bravi e preparati, ma costretti a rimanere nell'anonimato perchè le panchine che contano sono già tutte assegnate. E' questo il calcio che non digerisco, dove chi fa parte del giro giusto va avanti, chi è un comune mortale rimane nei campi di periferia ed è costretto a dire che allena per hobby. Hobby un corno, io vorrei arrivare in Serie A, e insieme a me tanti altri.

Rosario Ligato

venerdì 27 luglio 2012

ALLA RICERCA DEL TALENTO PERDUTO

La società occidentale sta cambiando continuamente e repentinamente. La giornata “tipo” del bambino di oggi è diversa da quella del suo coetaneo di venti, quindici, dieci anni fa. Le caratteristiche principali di questo cambiamento riguardano le situazioni che egli vive: gli spazi liberi utilizzabili per giocare sono sempre di meno ed il tempo a sua disposizione viene speso in prevalenza per attività nelle quali il movimento è una componente marginale. Questa purtroppo è una costante della maggior parte degli ambienti da lui vissuti, sia nelle ore trascorse a scuola che in quelle appartenenti al cosiddetto tempo libero.
L’ambiente urbano è ormai imbottito di traffico e malvivenza, tanto che i genitori non si fidano a lasciar giocare i bambini per strada.
Lo sviluppo delle tecnologie d’appartamento, come il personal computer e la play station, inoltre, sembrano invitarli a vivere quasi solo tra le mura domestiche. Internet e i telefoni cellulari stanno modificando fortemente il modo con il quale si relazionano tra di loro.

ALLA RICERCA DEL TALENTO PERDUTO

La società occidentale sta cambiando continuamente e repentinamente. La giornata “tipo” del bambino di oggi è diversa da quella del suo coetaneo di venti, quindici, dieci anni fa. Le caratteristiche principali di questo cambiamento riguardano le situazioni che egli vive: gli spazi liberi utilizzabili per giocare sono sempre di meno ed il tempo a sua disposizione viene speso in prevalenza per attività nelle quali il movimento è una componente marginale. Questa purtroppo è una costante della maggior parte degli ambienti da lui vissuti, sia nelle ore trascorse a scuola che in quelle appartenenti al cosiddetto tempo libero.
L’ambiente urbano è ormai imbottito di traffico e malvivenza, tanto che i genitori non si fidano a lasciar giocare i bambini per strada.
Lo sviluppo delle tecnologie d’appartamento, come il personal computer e la play station, inoltre, sembrano invitarli a vivere quasi solo tra le mura domestiche. Internet e i telefoni cellulari stanno modificando fortemente il modo con il quale si relazionano tra di loro.



Questi cambiamenti si ripercuotono sulla capacità di rapportarsi con l’ambiente, da un lato, e con le persone, dall’altro.
La prima conseguenza è quella di una crescente fragilità strutturale, perché meno ci si muove e meno il proprio corpo si adatta a farlo, rischiando di infortunarsi al mutare delle situazioni esterne. Non solo. Muoversi poco e male nei primi anni di vita comporta dei problemi nella formazione anatomica del cervello.
Alla nascita, infatti, il tessuto nervoso non è formato, ma semplicemente “abbozzato”, grazie alla presenza di un certo numero di neuroni. Quei neuroni necessitano però di stimoli quotidiani provenienti dall’esterno per rafforzare i contatti tra loro sia in quantità che in qualità. Un cervello che cresce e si forma in un bambino che si muove poco, quindi, sarà il cervello di un adulto limitato, non solo nelle funzioni motorie ma in tutta la sfera cognitiva.
Ecco perché la fragilità delle strutture scheletriche, muscolari, tessutali e soprattutto nervose va prevenuta e l’unico modo per farlo è garantire al bambino nei primi anni di vita un elevato numero di esperienze, attraverso l’utilizzo di tutte le vie predisposte a ricevere informazioni dall’ambiente: quelle visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile… ma anche e soprattutto quelle vestibolari e cinestesiche, in grado di dare informazioni relative all’equilibrio e alla posizione del proprio corpo nello spazio. In appartamento o seduti ad un tavolo queste vie vengono utilizzate solo in minima parte e le risposte motorie non possono che essere poche e scadenti.
Tra le mura domestiche, inoltre, si incontrano pochi coetanei.
I bambini di oggi parlano sempre di meno ed invece si rapportano con gli altri digitando e chattando. L’effetto di tutto questo è una crescente solitudine, sommata ad una diminuzione del dialogo, ad una modifica dei processi utilizzati per comunicare, all’uso di un linguaggio sempre più povero.
Lo sviluppo cognitivo del bambino passa attraverso il rapporto con l’ambiente e quello con gli altri e quindi i bambini del prossimo futuro rischiano di
non sfruttare appieno le proprie potenzialità. La carenza di confronti con sé stessi (muovendosi) e con gli altri (parlando) forse non comprometterà l’intelligenza, ma sicuramente influirà negativamente su autocontrollo e fiducia in sé stessi. Parafrasando una nota pubblicità, si potrebbe ricordare che “l’intelligenza è nulla senza controllo”.
La maggior parte del tempo, però, i bambini lo trascorrono a scuola.
L’inadeguatezza dell’ambiente urbano alle loro necessità, quindi, potrebbe in parte essere compensata da un’ideazione dei contenuti e degli spazi in ambito scolastico capace di garantirgli quel movimento che il resto del mondo ormai gli proibisce.
Se la finalità della scuola è quella di educare e formare i cittadini del futuro, come può non avere negli obiettivi principali quello di permettere alla potenzialità cognitiva di esprimersi nella sua interezza?
Il sistema scolastico attuale, pur riconoscendo teoricamente al movimento la stessa dignità delle altre materie, lo porta, in pratica, ad avere un ruolo marginale nel percorso formativo dei giovani.
Le cause sono principalmente due: il modo con il quale vengono formati gli insegnanti (percorso magistrale) non sempre utilizza il giusto approccio nei confronti dell’importanza del movimento umano, non considerandolo preponderante per un equilibrata attuazione dei processi cognitivi ma relegandolo a banale elemento ludico, utile quasi esclusivamente a far riposare il cervello tra un’attività cognitiva e l’altra; le strutture, inoltre, a livello
nazionale sono molte volte inadeguate per permettere a chi di dovere di proporre nel migliore dei modi l’attività motoria.
Di conseguenza al primo problema si hanno insegnanti che non danno il giusto peso all’attività motoria, oppure che, pur intuendone
l’importanza, si trovano privi degli strumenti indispensabili per poterla proporre correttamente e quindi “senza fare danni”.
Dalla mancanza di strutture adeguate, invece, consegue una vera e propria impossibilità a far muovere i bambini. Il tutto in una programmazione che riserva al movimento solo qualche briciola dell’orario settimanale. Si pensi che l’educazione fisica non è prevista negli asili nido, mentre nella scuola dell’infanzia e in quella primaria è lasciata alla buona volontà degli insegnanti, non più di un’ora a settimana. In alcuni casi sono i genitori ad accollarsi la spesa di qualche integrazione, chiamando ad intervenire professionisti extrascolastici. Un insegnante di educazione fisica vero e proprio compare solo nella scuola secondaria e non ha a disposizione più di cento minuti alla settimana. A dieci anni, però, lo sviluppo motorio del bambino è ormai in gran parte compromesso, tanto che risulterà sempre più difficile intervenire per migliorarlo in futuro.
Ogni settimana, inoltre, viviamo centosessantotto ore.
Anche se il bambino ne dormisse la metà, gliene rimarrebbero ottantaquattro da trascorrere sveglio. E praticare attività fisica nella scuola secondaria per due ore alla settimana significa dedicare all’educazione motoria un tempo irrisorio rispetto al totale delle ore a disposizione. In realtà il movimento dovrebbe essere tanto e di qualità. Nella necessità di ridurlo, si dovrebbe intervenire sugli anni successivi a quelli dell’infanzia, mentre attualmente avviene proprio il contrario. E’ disarmante che sia proprio la fascia d’età 0-6 anni quella più scoperta dal punto di vista motorio, visto che si tratta del periodo più importante nello sviluppo del bambino.A tutto questo si aggiunge una “tendenza generale” da parte di componenti esterni alla scuola (genitori e mass-media) ad accelerare i tempi, bruciando le tappe. Così già agli asili nido i bambini sono chiamati a compilare schede, a sedersi al tavolo, ad allontanarsi dal loro istinto di muoversi e giocare usando il proprio corpo, per iniziare il prima possibile a sviluppare solo alcune
delle loro facoltà mentali. Alla scuola dell’infanzia succede la stessa cosa, tanto che la maggior parte di loro arriva alla scuola primaria già in grado di leggere e scrivere. Da questa “corsa contro il tempo”, però, ne esce sconfitto soprattutto il bambino, che vede privilegiare a torto solo alcuni aspetti del suo percorso evolutivo, a scapito, purtroppo, di quelli più importanti.
L’unica soluzione possibile sembrerebbe essere quella di una revisione radicale del sistema scolastico nazionale. I bambini dovrebbero partire dall’esperienza, dal gioco. Da li dovrebbero scaturire quegli stati di necessità che permettano poi di approfondire sui libri le varie materie. Dal giardino, dal campo giochi, dalla palestra dovrebbero nascere i presupposti della curiosità e del bisogno di conoscenza. Seguendo l’orientamento attuale, invece, l’educazione fisica troverà sempre meno spazio nelle scuole. I bambini saranno sempre prima e sempre più in fretta indottrinati,
informatizzati, omologati.
Le strutture degli uomini occidentali saranno, conseguentemente, sempre meno adatte a muoversi e tutte quelle attività che richiedono un elevato contributo motorio ne risentiranno. I lavori fisicamente più impegnativi, come quelli edili o agricoli, verranno probabilmente svolti da uomini nati in Africa, in Asia ed in Sud America, cresciuti in un ambiente stimolante e non inibente.
Lo sport, che dovrebbe rappresentare l’esaltazione del movimento umano, subirà un cambiamento simile, vedendo primeggiare sempre
più gli atleti provenienti da quegli stessi Paesi. E’ solo una questione di tempo: quando i vantaggi ambientali saranno accompagnati da un aumento di cultura sportiva, il gioco sarà fatto.
Troppe volte si è data una spiegazione di natura “genetica” alla grande abilità dei brasiliani di giocare a calcio o dei cubani di giocare a pallavolo. La componente genetica è fondamentale nella formazione di un talento sportivo, ma non si dimentichi che nella formazione e nello sviluppo del sistema nervoso, l’apporto genetico è relativo e soprattutto è condizionato fortemente dagli input provenienti dall’ambiente esterno nei primi anni di vita.
Quindi è difficile che senza una base genetica un bambino diventi un talento, ma è altrettanto difficile che con una base genetica sufficiente, un bambino possa diventare tale senza le sollecitazioni adeguate provenienti dal mondo in cui cresce e vive.
Da anni si sprecano i dibattiti su “come” allenare un atleta, su quanto una buona metodologia d’allenamento possa incrementare le possibilità che un individuo geneticamente dotato arrivi a fare sport ad altissimo livello. Il calcio italiano sta perdendo sempre più in “qualità”. Più che in serie A, dove la presenza di giocatori stranieri in parte compensa tale lacuna, lo si può notare nei campionati professionistici minori, dove è palese l’impoverimento tecnico generale. Visto che la predisposizione genetica degli italiani a giocare a calcio non dovrebbe essere mutata di molto da vent’anni a questa parte, si finisce spesso con il dare la colpa alla scuola calcistica. In Italia si sarebbe prediletto per anni (ed è vero) l’insegnamento della tattica e l’irrobustimento fisico dei giovani calciatori a scapito della cura della tecnica. In Italia, in pratica, si sarebbe preteso di allenare calcio senza proporre calcio.
Una pretesa che, alla luce delle poche ore dedicate dai bambini al gioco del calcio, ha preso le sembianze di una presunzione.
Spesso si prende ad esempio la scuola brasiliana. Bene: in Brasile innanzitutto si gioca a calcio. Non c’è un metodo scientifico, una via studiata a tavolino per “costruire” talenti; ci sono la strada, il gioco libero, la creatività. E nella strada c’è una componente fondamentale troppo spesso trascurata nelle analisi intellettuali occidentali: la quantità. Perché è indiscutibile che meglio un atleta lavora e più è facile che si migliori, ma se quella qualità è
concentrata in un numero di ore irrisorio, rischia di diventare inutile.
La strada brasiliana, senza allenatori, preparatori atletici, macchine di potenziamento muscolare, elettrostimolatori, è in grado di aiutare gli elementi geneticamente predisposti ad eccellere nel gioco del calcio molto di più rispetto alle alchimie tecnologiche
occidentali, semplicemente perché il tempo dedicato al gioco da parte dei bambini brasiliani è decisamente superiore rispetto a quello dedicato dai nostri bambini. Gli allenatori sportivi dovrebbero cercare di intervenire sulla motricità dei loro allievi in
modo da aiutarli a migliorare, favorendo confronti utili. Quegli stessi confronti che il gioco spontaneo permetterebbe di compiere
in tempi più dilatati. I vantaggi derivanti dalla presenza di un allenatore però, passano attraverso due condizioni: il livello professionale dell’allenatore e il numero delle ore comunque dedicato alla disciplina. Quando la differenza tra le ore dedicate alla disciplina sportiva libera da un bambino brasiliano e quelle dedicate alla disciplina sportiva guidata da un bambino occidentale è troppo marcata a svantaggio del secondo, gli accorgimenti metodologici diventano irrilevanti.
I talenti sportivi occidentali diminuiranno sempre più, fino a quando il modello di vita non cambierà, fino a quando non verranno restituiti ai bambini quegli spazi e quei momenti ludici indispensabili per il loro sviluppo. Solo così si potrà invertire la tendenza, permettendo di trarre vantaggi a tutti, non solo agli sportivi.
Perché un’infanzia in movimento garantirebbe uno sviluppo più equilibrato anche a chi successivamente decidesse di vivere seduto ad una scrivania. Nello sviluppo cognitivo, come visto. E nel gettare le basi per una salute più duratura. In tal senso vanno sensibilizzate le famiglie. In questa direzione, soprattutto, deve indirizzarsi il dibattito sulla scuola. Per ottenere risultati concreti va per forza di cose riconsiderata la valenza educativa dell’attività
motoria. Nei fatti oltre che nelle parole, aumentando drasticamente il numero delle ore settimanali da dedicare al movimento.
L’obiettivo finale è quello di ritornare ad una società più vivibile ed equilibrata. Una società che permetta di nuovo ai bambini di giocare all’aria aperta. E questo può avvenire solo dopo aver cambiato la scuola, il modo con il quale si formano i bambini, gli stati di necessità che in loro si inducono. Saranno loro, poi, a cambiare la società in cui si troveranno, perché la riterranno inadeguata.
Saranno loro che restituiranno alle generazioni future quell’ambiente vivibile che noi abbiamo perduto.

IL CORRIERE SPORTIVO PIEMONTE


IL CORRIERE SPORTIVO PIEMONTE


mercoledì 18 luglio 2012

MIGLIORARE LA TECNICA CALCIANDO LA PALLA CONTRO IL MURO

Può sembrare un esercizio noioso e poco produttivo, in realtà è uno dei migliori esercizi per migliorare la tecnica di base dei calciatori. Basta avere a disposizione un pallone, un muro e qualche ora da dedicare al giorno.
Girando per le varie Scuole Calcio non vedo mai un istruttore proporre questo tipo di esercizio, qualcuno è giustificato perchè non tutte le strutture sono dotate di un muro per far rimbalzare il pallone, altri considerano questo esercizio poco allenante.
Persino i ragazzi pensano che questo esercizio di tecnica sia solo una perdita di tempo. Ricordo con molta nostalgia il mio passato da calciatore nel settore giovanile della Reggina, dove ogni seduta di allenamento iniziava con esercizi a muro con entrambi i piedi e palleggio a piedi scalzi. Mezzora intensa ma molto allenante sotto il profilo tecnico. Non credo ci sia un esercizio più redditizio del passaggio contro muro per allenare le capacità tecniche, di rapidità di reazione; rapidità di esecuzione; rapidità di coordinazione; rapidità di mobilita articolare.



MIGLIORARE LA TECNICA CALCIANDO LA PALLA CONTRO IL MURO

Può sembrare un esercizio noioso e poco produttivo, in realtà è uno dei migliori esercizi per migliorare la tecnica di base dei calciatori. Basta avere a disposizione un pallone, un muro e qualche ora da dedicare al giorno.
Girando per le varie Scuole Calcio non vedo mai un istruttore proporre questo tipo di esercizio, qualcuno è giustificato perchè non tutte le strutture sono dotate di un muro per far rimbalzare il pallone, altri considerano questo esercizio poco allenante.
Persino i ragazzi pensano che questo esercizio di tecnica sia solo una perdita di tempo. Ricordo con molta nostalgia il mio passato da calciatore nel settore giovanile della Reggina, dove ogni seduta di allenamento iniziava con esercizi a muro con entrambi i piedi e palleggio a piedi scalzi. Mezzora intensa ma molto allenante sotto il profilo tecnico. Non credo ci sia un esercizio più redditizio del passaggio contro muro per allenare le capacità tecniche, di rapidità di reazione; rapidità di esecuzione; rapidità di coordinazione; rapidità di mobilita articolare.



domenica 15 luglio 2012

SMARCAMENTO: PRINCIPI E CONCETTI


Il gioco del calcio, al pari di altre discipline sportive collettive, ha la particolarità di mantenere la contemporanea presenza sul campo da gioco di due squadre di giocatori e, quindi, le azioni di gioco sono determinate dalla cooperazione diretta dei compagni di una squadra in possesso palla in rapporto al comportamento degli avversari.
In effetti, l’azione di ciascun giocatore, in ogni momento della gara, dovrà prendere in considerazione: la posizione del pallone e di chi ne ha il possesso, la posizione dei compagni, la posizione degli avversari; solo quando tutto questo complesso di elementi viene percepito sarà possibile elaborare una soluzione efficace della situazione di gioco.

SMARCAMENTO: PRINCIPI E CONCETTI


Il gioco del calcio, al pari di altre discipline sportive collettive, ha la particolarità di mantenere la contemporanea presenza sul campo da gioco di due squadre di giocatori e, quindi, le azioni di gioco sono determinate dalla cooperazione diretta dei compagni di una squadra in possesso palla in rapporto al comportamento degli avversari.
In effetti, l’azione di ciascun giocatore, in ogni momento della gara, dovrà prendere in considerazione: la posizione del pallone e di chi ne ha il possesso, la posizione dei compagni, la posizione degli avversari; solo quando tutto questo complesso di elementi viene percepito sarà possibile elaborare una soluzione efficace della situazione di gioco.



In una partita esistono due situazioni che si alternano continuamente - di possesso e di non possesso palla - chiamate rispettivamente “attacco” e “difesa”, le quali costituiscono gran parte della dinamica del gioco del calcio, anzi, rappresentano il contenuto della “tattica”, attraverso cui si determina il risultato agonistico.
Infatti, proprio la molteplicità delle situazioni e la loro rapida mutevolezza nel tempo e nello spazio (assieme all’elevato numero di giocatori in campo), ha sempre reso problematica la determinazione di principi tattici offensivi e difensivi di generale ed assoluta validità.
Per ovviare a ciò, la ripetizione sistematica degli esercizi per le varie fasi difensive, offensive e di palla inattiva costituisce uno strumento importantissimo, al fine di ottenere un’efficace organizzazione di squadra, indipendentemente dall’età dei giocatori e dalle categorie in cui giocano.
D’altra parte, durante la gara agonistica, la maniera di stare in campo e di giocare di una squadra è lo specchio del lavoro eseguito durante la settimana!
Tuttavia, sebbene in una partita la lettura tattica dell’allenatore possa consentire di modificare l’andamento di un incontro, correggendo le posizioni in campo ed i compiti tattici di alcuni giocatori, a volte, non si riesce ad avere il sopravvento perchè gli avversari dispongono di un organico superiore nelle varie qualità (tecniche, tattiche, mentali), oppure perché l’esecuzione delle giocate da parte dei giocatori non è ottimale.

Dunque, è fondamentale che ogni squadra disponga di un’adeguata organizzazione che si consegue solo con ripetute esercitazioni sul campo durante l’addestramento tattico dei vari allenamenti.
Ed è evidente che, in ogni gara, emerge l’importanza di una precisa fase di gioco, il possesso palla, che è definita come “un azione coordinata di più giocatori che, grazie a un preciso scaglionamento, a una corretta mobilità e a un continuo smarcamento riescono a mantenere e trasmettersi la sfera”.
Il possesso palla è necessario quando si vuole:
• invogliare l’avanzamento di avversari che attuano un gioco eccessivamente difensivo;
• tentare di abbassare il ritmo della gara o di una sua fase;
• preparare un cambio di ritmo improvviso;
• favorire un cambio di fronte di gioco;
• ampliare il fronte di attacco;
• creare i presupposti per gli inserimenti, i tagli, le sovrapposizioni e i movimenti degli attaccanti.

Le esercitazioni per il possesso della palla sono un elemento fondamentale e un principio irrinunciabile nella programmazione didattica dell’allenamento dei calciatori di qualunque età e categoria.
Infatti, per poter insegnare e migliorare il possesso palla, specialmente quando si attacca, diventa di fondamentale importanza far capire il concetto di smarcamento, che è un movimento di tattica individuale, per cui il giocatore in possesso di palla, grazie al continuo movimento dei compagni di squadra che si liberano dalla marcatura degli avversari, riesce ad avere diverse opzioni di gioco.
In questo caso, durante gli esercizi di “possesso palla”, gli elementi tattici basilari che devono emergere sono proprio il continuo movimento dei giocatori negli spazi vuoti per sfruttare al meglio la superficie del campo e la situazione di assiduo sostegno al compagno in possesso di palla!
Tra l’altro, bisogna tener presente che non esiste solo il movimento di smarcamento per ricevere la palla, ma si può eseguire anche una corsa di smarcamento per creare spazio ad un compagno.
In ogni caso, un buon movimento di smarcamento prevede l’assimilazione di tre concetti basilari:
• tempo di smarcamento: muoversi quando il compagno è in condizione di passare la palla;
• dove smarcarsi: nella zona “luce”, cioè nell’area visiva del compagno in possesso di palla;
• come smarcarsi: facendo un movimento contrario (finta) a quello che si aspetta l’avversario.

Peraltro, è chiaro che conservare la gestione del pallone può permettere di rompere il ritmo della squadra avversaria o di far passare il tempo e concedere meno possibilità di veloci e pericolose ripartenze alla squadra avversaria.
Personalmente, penso che le esercitazioni per il miglioramento del possesso di palla sono preminentemente sviluppabili soprattutto mediante “partitelle”, una parte delle quali prevedono l’utilizzo di porte piccole e di spazi molto ridotti; ciò, infatti, potrebbe stimolare nei giocatori la volontà di trovare il metodo migliore per raggiungere gli obiettivi proposti, “costringendoli” ad usare al meglio diversi fondamentali individuali, quali dribbling, finta, ricezione dei passaggi, ecc.
Questa tipologia di esercizi può diventare un elemento importantissimo per la preparazione atletica, perché, in base a quanto proposto, possono verificarsi implicazioni fisiologiche sia del meccanismo anaerobico lattacido (resistenza fisica), sia del meccanismo anaerobico alattacido (rapidità), che si esplicano in un impegno motorio molto simile a quello che il calciatore è chiamato a svolgere durante la partita vera.

Volendo idealizzare quanto detto fin qui, si può schematizzare un’esercitazione tipo fissando:
• finalità: acquisizione delle abilità tattiche necessarie per giocare in fase di possesso palla;
• obiettivi: sviluppo della tecnica individuale in situazione, sviluppo della tattica individuale in fase di possesso palla, sviluppo della tattica di squadra in fase di possesso palla;
• obiettivi secondari: sviluppo della coordinazione spazio-tempo, sviluppo della capacità di valutazione delle traiettorie, miglioramento dei gesti tecnici, miglioramento dei principi tattici in fase di possesso palla (scaglionamento, penetrazione, profondità, ampiezza e mobilità sul fronte d’attacco, imprevedibilità nell’attacco), miglioramento della comunicazione non verbale della propria squadra.

Comunque, a mio parere, lo smarcamento durante il possesso palla si deve allenare sempre e, fra l’altro, sebbene lo si possa inserire nella fase di riscaldamento, deve costituire la fase principale dell’allenamento, essendo allo stesso tempo sia un mezzo propedeutico al gioco di squadra, sia un addestramento generico delle abilità tecniche.
Logicamente, è chiaro che ogni allenatore dovrà elaborare il programma addestrativo più adatto osservando attentamente il comportamento dei giocatori in gara, in quanto solo la gara può evidenziare i reali punti forti e deboli di ognuno di essi.

FILTRANTE APPOGGIATO